Vie della conoscenza di Dio – Report

Martina Galvani

Durante il primo incontro dell’Associazione Italiana Edith Stein è stata presentata la nuova traduzione della professoressa Anna Maria Pezzella dell’opera di Edith Stein Vie della conoscenza di Dio. Saggio su Dionigi l’Areopagita, curata da Angela Ales Bello e Marco Paolinelli.

Dopo una breve introduzione della professoressa Anna Maria Pezzella, che ha moderato l’incontro, la professoressa Nicoletta Ghigi ha approfondito il tema dell’immagine e delle sue possibilità gnoseologiche, questione centrale nell’analisi steiniana della Teologia mistica dell’Areopagita. Nella sua indagine Stein mette in evidenza la scala che conduce allo splendore dell’Essere originario, partendo dai diversi gradi di illuminazione del Creato. Tutto ciò che esiste è parte di questo ordine dell’essere, compresa la materia inanimata, in quanto lo spirito è presente in ogni cosa. Tuttavia, solo coloro che sono maggiormente permeati di spirito ne sono consapevoli e possono intravedere le gradazioni di luce presenti nella creazione; l’ordine della conoscenza dipende dunque da queste gradazioni di luce. Il linguaggio che descrive tale presenza dello spirito nelle cose è di tipo figurativo-simbolico e consente di avvicinarsi all’invisibile tramite il visibile. Il simbolo (Abbild) allude ad altro, mentre l’immagine (Bild) parte da qualcosa di concreto, ma entrambi rimandano all’immagine originaria, ossia alla fonte. Ghigi ha riperso le diverse forme di conoscenza descritte dalla Stein, mostrando l’importanza dell’immagine: quella naturale, di coloro che sentono Dio nel Creato, cogliendolo per immagini; quella indiretta per fede, che attinge alle immagini presenti nella Parola; infine la conoscenza diretta e senza adombramenti, non mediata dal simbolo, che è l’esperienza di Dio. Nell’esperienza mistica Dio si offre senza mediazioni e l’immagine è presenza diretta. Il mistico vive il “sentimento” della presenza di Dio, cercando di ritradurlo in immagine. Tuttavia, in questo tentativo di descrizione, la parola non riesce a rendere il senso autentico dell’immagine di Dio, che sfugge ad ogni traduzione immaginativa. In tal senso, la vetta della conoscenza di Dio, la sua autorivelazione, è espressa nel silenzio.

L’intervento del Professor Christof Betschart si è invece concentrato sull’aspetto teologico delle questioni trattate nell’opera di Edith Stein e ha riflettuto in particolare sulla differenza tra conoscenza di Dio per fede ed esperienza mistica. Betschart ha ricostruito il contesto storico del lavoro della filosofa, mettendo in luce le fonti bibliografiche alle quali ella ha attinto per approfondire il pensiero di Dionigi l’Areopagita, del quale ha tradotto le opere complete. Attraverso un lavoro puntuale e ben documentato la Stein ha ampliato lo status questionis, integrando la prospettiva teologica con quella fenomenologica. Secondo la filosofa il presupposto sotteso ad ogni possibile discorso su Dio è l’autorivelazione divina, infatti se le creature sono simboli dell’immagine primale (Urbild), lo sono perché hanno il loro senso nell’Ursymbol, cioè nel Logos di tutto ciò che esiste. Per usare simboli capaci di comunicare una conoscenza di Dio, l’essere umano deve avere una conoscenza di Dio comunicabile. La conoscenza mistica, diversamente dalla fede, è un sentire la presenza, un incontro diretto con Dio senza mediazioni. L’insistenza su tale distinzione non vuole però essere un elitismo, infatti la Stein ritiene che questa esperienza non sia necessaria per essere santi, ma esistono molte altre vie per la santità, che ben si adattano alle diversità individuali di ciascuno. L’incontro mistico lascia una traccia nella vita di fede, ma non conduce necessariamente ad essa. Grazie all’analisi fenomenologica delle diverse forme di conoscenza di Dio, la Stein mostra dunque la possibilità di diversi percorsi che conducono a Lui, partendo dalla fede oppure dall’esperienza mistica, come quella del “riposo in Dio” da stessa lei vissuto.